Il Regio Esercito nella Grande Guerra

La Grande Guerra in terra: il Regio Esercito e il Corpo dei Carabinieri Reali. Pavia, Prefettura, Salone Malaspina, 9 ottobre 2018
relatore: Magg.Gian Luca Rossi, giornalista e Ufficiale della Riserva Selezionata dell’Esercito Italiano

18EIPaviaGrandeGuerra9ottSitoPremetto che il mio approccio al tema è completamente diverso da quello tradizionale, perché io faccio un mestiere diverso dallo storico, faccio il giornalista e ho provato ad immedesimarmi nel mio ruolo all’epoca della Grande Guerra, come se fossi un cronista di quel tempo.
Quindi, parlando del Regio Esercito durante la Grande Guerra, non vi snocciolerò il solito elenco di battaglie, ma tenterò di offrirvi uno spaccato dell’Italia di allora, che era tremendamente incentrata sul rapporto tra Esercito e Società, un rapporto intenso e totalizzante, proprio perché l’Esercito era, per molti versi, la società italiana stessa.
L’Esercito italiano, ovvero il Regio Esercito a quei tempi, proprio attraverso la tragica esperienza della Grande Guerra, ha sicuramente contribuito a creare quella comune base di valori che ha dato poi senso alla famosa frase di Massimo D’Azeglio “Fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani”.
Devo dire che proprio attraverso la Grande Guerra si fecero gli Italiani.
Ma com’erano gli italiani dell’epoca? Nel passato si era uomini già da ragazzi: Vittorio Emanuele II diventò Re a 28 anni, Francesco d’Asburgo a 18 anni. Goffredo Mameli morì nel 1849 a nemmeno 22 anni. A metà del XIX secolo si moriva in media prima dei 50 anni, l’altezza media era di m 1.63. A metà prima Guerra Mondiale a 40 anni si era considerati già vecchi.
Il Regio Esercito italiano venne costituito all’indomani dell’Unità d’Italia nel dalla fusione dell’Armata Sarda con gli altri Eserciti operativi nei vari stati preunitari italiani e la denominazione venne stabilita il 4 maggio 1861 con decreto del Ministro della guerra Manfredo Fanti.
Nel gioco delle alleanze che aveva caratterizzato la politica militare italiana dell’ultimo ventennio del secolo XIX, l’inserimento, assai contrastato e discusso, del nostro Paese nel blocco degli Imperi Centrali, rispondeva solo ad esigenze contingenti, ma non trovava alcun altro fondamento, giacché con l’Austria era rimasta aperta la partita per il completamento finale della nostra Unità Nazionale. L’Italia però non era assolutamente in grado di poter pensare a fare una guerra ma il problema esisteva comunque per il suo aspetto difensivo, cioè nell’ipotesi che fosse l’Austria ad agire contro di noi, per cui si saremmo stati costretti a subire una guerra. Nel periodo di relativa pace, almeno interna, di quei tempi, i vari governi italiani non ritenevano prioritario rinforzarsi militarmente, secondo l’idea di Benedetto Cairoli, che in Parlamento aveva già definito quelle militari “spese improduttive”.
Però alcune cose significative comunque si fecero, a cominciare dall’adozione della ferma biennale per tutte le armi, ad esclusione dei carabinieri, con estensione dell’obbligo di leva a tutti i cittadini e certamente più denaro in bilancio per la Difesa. Malgrado ciò, non eravamo pronti per una Grande Guerra ma la minima intelaiatura strutturale di cui comunque ci dotammo, grazie alle intuizioni dei Generali Spingardi e Pollio, furono in ogni caso decisiva per non essere travolti in pochi mesi.
L’Esercito Italiano del 1861, che aveva le sue fondamenta nel vecchio esercito sardo, da cui traeva la severa disciplina racchiusa nel motto “un ufficiale ha sempre ragione, specialmente quando ha torto”, viveva una situazione di grave malcontento per il trattamento economico non appetibile: non a caso i giovani brillanti preferivano un impiego nelle industrie manifatturiere, in espansione grazie alla domanda interna e ai commerci tra le Nazioni. Per non parlare dell’avanzamento di grado, per cui non erano le qualità del singolo ufficiale a fare la differenza, ma l’anzianità di servizio: la promozione era vissuta dal militare di carriera unicamente per raggiungere una pensione decorosa.
Nell’estate del 1914 i quadri dell’Esercito italiano in tempo di pace erano appena adeguati nei gradi inferiori, ma invecchiati e con scarsa preparazione alle nuove metodologie nei quadri superiori. Quando Luigi Cadorna subentrò al generale Pollio, morto improvvisamente nel luglio 1914, segnalò che alla mobilitazione generale mancavano almeno 13.000 ufficiali, da affiancare ai 26.000 in servizio; scarsi erano pure i sottufficiali, nervo di collegamento con la truppa. La mancata istruzione delle reclute obbligò al richiamo di 13 classi di leva per completare gli organici di soldati da inviare in prima linea. Cadorna corse su più fronti: migliorare le condizioni dell’armamento, i trasporti ferroviari e stradali, il grado di istruzione della truppa e il ringiovanimento dei quadri ufficiali. E, francamente, per come reggemmo l’urto iniziale subito dopo l’entrata in Guerra, fece un mezzo miracolo.
All’entrata in Guerra fu Mobilitazione Generale. Alle armi furono chiamati oltre 5 milioni di uomini, il 97% degli italiani abili, con uno sforzo immane da parte di tutto il Paese perché, oltre ai soldati al fronte, ci furono un milione di civili, uomini e donne, impiegati nella produzione industriale a sostegno allo sforzo bellico e nella realizzazione di opere di viabilità e difesa. In pochi anni, solo l’Industria del Trasporto Militare arrivò a contare 120.000 addetti e la Fiat produsse circa 43.000 automezzi, 12.000 aeroplani e 25.000 motori.
In un Paese ancora in buona parte semi-analfabeta, un contributo attivo lo diedero gli Intellettuali che si arruolarono volontari nel Regio Esercito: Gabriele D’Annunzio, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi, Sandro Pertini, solo per citarne alcuni.
A durissima prova fu messa la Sanità Militare dell’epoca che all’epoca dell’entrata in Guerra contava 9.500 infermieri e 1.200 dottori, con 209 apparati logistici propri tra Ospedali Territoriali, attendamenti, autoambulanze e treni ospedali. Ma già nel 1916 i medici militari erano 14.000 e arrivarono a 18.000 nel 1918, insieme a 96.000 soldati di Sanità. E sul fronte italiano, proprio nel Corpo della Sanità, operò anche lo scrittore Ernest Hemingway con l’Esercito Americano. Guidò le Ambulanze.
Grande sviluppo ebbe la Chirurgia Ricostruttiva. Lanciafiamme, granate, proietti shrapnel a pallettoni, bombe d’aereo e ordigni vari causarono lesioni gravissime senza precedenti. Feriti, mutilati con volti deturpati e funzionalità compromesse fecero diventare prassi, la ricostruzione di volti, di lobi o interi padiglioni auricolari per limitare ove possibile le peggiori devastazioni facciali. La Grande Guerra modificò anche il rapporto tra Società e Religione, perché l’organizzazione militare, con più di 20.000 cappellani militari, comprese la necessità di rispondere alle esigenze di tutti i suoi soldati, garantendo libertà di culto e professione di fede, con pari dignità, oltre che ai cattolici, anche agli evangelici ed agli israeliti: già nel 1869 l’Esercito contava 87 Ufficiali e 300 Soldati di religione ebraica. Inoltre proprio in quegli anni ci si inventò il matrimonio per procura tra i Soldati al fronte e le donne rimaste a casa.
Con gli uomini al fronte, le donne ebbero un ruolo fondamentale: più di 200.000 furono nei campi, nelle industrie, nella sanità o, come nel caso delle portatrici carniche, al fronte, con incarichi logistici in supporto alle prime linee. La Croce Rossa mobilitò 7.320 crocerossine.
Poi ci furono le donne che confezionavano abiti nei nuovi Maglifici Domestici, perché pochi mesi dopo l’entrata in Guerra fu chiaro che non sarebbe stata una Guerra breve e le uniformi erano assolutamente inadeguate per i rigori dell’alta montagna. Occorreva lana, tanta lana per l’inverno con temperature che in montagna scendevano fino a 40 gradi sotto lo zero. Ecco quindi guanti, calzettoni, ginocchiere, panciere, ventriere in lana: un’intera gamma da indossare sotto l’uniforme. Ma in assenza degli uomini validi chiamati al fronte, le donne entrarono in ogni settore della produzione: fu la premessa per l’Emancipazione femminile.
Se fino ad allora le donne erano rimaste a casa, ora eccole alla guida dei tram, alla manutenzione di locomotive, ai servizi anti-incendio, nelle fabbriche di munizioni, di motori aeronautici ed elettrici, nei cantieri edili e nelle fornaci.
Alcune di loro mostrarono vocazioni del tutto impreviste dal mondo maschile, ad esempio nella meccanica: ci furono esperte motoriste o elettrotecniche provette nell’assemblaggio di apparecchi radio, valvole e resistenze. Altre maneggiavano esplosivi per confezionare proiettili e bombe.
Ci fu una svolta anche nel loro abbigliamento: all’epoca le donne si vestivano con gonne immense, corpetti esasperati, indumenti impossibili per i lavori a cui erano chiamate: i rischi di restare impigliate nelle macchine utensili o nelle cinghie di trasmissione obbligarono le nuove operaie ad indossare tute da lavoro per una libertà di movimento, accogliendo al volo l’invenzione americana del reggiseno, brevettato a New York il 12 febbraio 1912 dalla 20enne Mary Phelps Jacob. Il primo reggiseno era semplice: due triangoli di stoffa uniti tra loro e sorretti da bretelle. E la Grande Guerra diede un impulso incredibile alla nuova invenzione, al di là delle aspettative della stessa creatrice.
E che dire dell’Alimentazione dell’epoca? I rigidissimi inverni ispirarono una vera e propria crociata popolare, cominciata ancora una volta dalle donne, per far pervenire ad ogni nostro combattente dei ‘rotoletti’ di combustibile.
Fatti con la carta di vecchi giornali intrisa di paraffina i ‘rotoletti’ bruciavano anche tra due sassi per scaldare il rancio. Di qui la denominazione di scalda-rancio. E così furono chiamati anche i primi fornelletti.
Consistevano in una scatola cilindrica che fungeva da treppiede sul cui fondo si poneva il ‘rotoletto’ e al di sopra la gamella con il rancio.
Ne occorrevano almeno sei per ogni soldato, quattro per il rancio e due per il caffè. Grazie allo scalda-rancio molti nostri soldati sopravvissero.
Da lì un fornellino con relativo combustibile venne inserito di default nelle razioni preconfezionate da combattimento. Come l’odierna razione K.
In ogni caso, la dieta del nostro soldato era tra le più abbondanti: circa 3.900 calorie al giorno e 4.700 per i reparti di montagna. Non a caso
i soldati sloveni dell’Esercito Austro-Ungarico fatti prigionieri urlavano ‘kruh’ che nella loro lingua significa pane: da qui l’espressione ‘crucco’ per i nostri.
Certo la qualità del cibo era agghiacciante e lo spezzone del capolavoro La Grande Guerra di Mario Monicelli con protagonisti Alberto Sordi e Vittorio Gassman è illuminante.
Un altro aspetto importante del periodo bellico, che per la mia professione ho approfondito particolarmente, fu la Propaganda, perché proprio in quegli anni l’Esercito costituì il Servizio P, antesignano di quelle che oggi sono le attività di Comunicazione e di Pubblica Informazione, che sono poi per certi versi quelle che io svolgo come Ufficiale Riservista durante i miei periodi di richiamo.
Credo con questa mia relazione di aversi raccontato aspetti un po’ diversi da quelli che normalmente ascoltate in conferenze sul tema. E il mio approccio, volutamente da ‘cronista dell’epoca’ mi porta a salutarvi con un’ultima raffica di aneddoti e curiosità.
Sentite parlare sempre di trincee a proposito della Grande Guerra, ma forse non sapete che la lunghezza totale delle trincee scavate fu pari a 40.250 km, più della circonferenza della Terra che è di 40.075 km.
Un altro classico della Grande Guerra fu l’uso di gas tossici e delle maschere anti-gas: ebbene, le prime maschere antigas improvvisate dai soldati in trincea erano in realtà biancheria imbevuta di urina.
Un contributo tremendo lo diedero anche gli Animali: 11 milioni di cavalli, 100.000 tra cani, asini, muli, buoi e maiali, usati per trasportare cibo, munizioni, pezzi di artiglieria. Moltissimi cani, oltre che per la ricerca dei feriti, furono sacrificati nel rilevamento dei gas tossici, insieme a piccioni e colombi, almeno 200.000, che non furono usati solo come portaordini.
A questo proposito c’è la bizzarra curiosità storica sull’imprendibile piccione germanico Kaiser che, quando fu finalmente catturato, fu addirittura dichiarato prigioniero di Guerra dagli Americani e trasferito negli Stati Uniti.
La contabilità nera della Grande Guerra fu tremenda non solo per il Regio Esercito.
Complessivamente parliamo di 9 milioni di soldati caduti e 21 milioni di feriti, mentre 10 milioni furono le vittime civili.
Il costo per l’Italia fu di oltre 680.000 vite umane, delle quali 406.000 per fatti bellici. Il solo Regio Esercito contò circa 400.000 morti con quasi un milione di feriti, quasi il 17% dei mobilitati, ma ci furono anche quasi 25.000 italiani sudditi austriaci fino al 1918 caduti nelle file dell’esercito austro-ungarico, di cui quasi 12.000 trentini.
Se volete saperne di più e non vi va magari di leggere i vari polpettoni storiografici sull’argomento, perché magari trovate più immediato un approccio audio-visivo, ci sono decine di film che raccontano la Grande Guerra, a cominciare da Capolavori immortali come Orizzonti di Goria di Stanley Kubrick del 1957 o All’Ovest niente di Nuovo del 1930, che Lewis Milestone ha tratto dal romanzo ‘Niente di nuovo sul fronte occidentale’ (titolo originale ‘Im Westen nichts Neues’) di Erich Maria Remarque e poi come remake da Delbert Mann nel 1979.
Voglio però suggerirvene uno più recente e meno conosciuto, Joyeux Noël girato nel 2005 dal regista francese Christian Carion e basato su un fatto vero accaduto la notte di Natale del 1914, il primo anno di Guerra: una tregua spontanea tra soldati tedeschi, francesi e britannici che per una manciata di ore decisero di uscire dalle trincee contrapposte per trascorrere in Natale insieme conoscendosi come uomini prima di tornare a spararsi addosso di lì a poche ore come soldati. Guardatelo. Un film diverso, esattamente come credo sia stata questa mia relazione sul Regio Esercito nella Grande Guerra. Grazie.

 

 

8 Commenti su Il Regio Esercito nella Grande Guerra

  1. Emanuele Pietro Massone // 10 ottobre 2018 a 10:56 //

    CHAPEAU Giornalista universale con un livello culturale sopra la media
    Saluti epm.

  2. Grazie, ma non vale: tu da buon amico sei di parte, eheheh!
    GLR

  3. I miei complimenti.
    Mi occupo di temi storici soprattutto locali e pure per la Grande Guerra, e davvero un lavoro impeccabile!

  4. Nicolò // 6 marzo 2019 a 13:59 //

    Bel pezzo, ricco di curiosità e storia interessante. Non sono un addetto ai lavori, ma all’università portai una tesi sull’economia della Grande guerra e questo articolo l’ho letto molto volentieri.

  5. Grazie di cuore…mi fa molto più piacere di una qualsiasi risposta a un articolo calcistico
    GLR

  6. Francesco CANNIZZARO // 19 aprile 2019 a 19:44 //

    Caro Gian Luca,
    sono rimasto ammirato e stupito leggendoti. Sei un esempio di intelligente poliedricità.
    La prima guerra mondiale ce l’ho nel cuore e per il modo di combattere la definisco l’ultima battaglia medioevale.
    Ottima la tua sottolineatura della compattezza del paese che ci permise di non essere travolti. Ma non credi che questo sia avvenuto perchè si credeva nella PATRIA, si credeva nell’ITALIA ?
    Che cosa pensi che succederebbe oggi?
    Ti abbraccio con stima e simpatia

  7. Fabrizio Casato // 4 ottobre 2019 a 13:26 //

    Caro Gianluca,
    complimenti per il tuo pezzo sulla Grande Guerra.

    Fabrizio

  8. Fabrizio Casato // 4 ottobre 2019 a 13:34 //

    Caro Gianluca,
    fra i capolavori cinematografici vorrei inserire “la grande guerra” di Monicelli e “uomini contro” dal libro “Un anno sull’altipiano” di Lussu.

    Fabrizio

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