Il calcio nel pallone: calcioscommesse

Pubblicato su Vivessere, Mensile di inchiesta cultura & spettacolo – Agosto/Settembre 2012
Intervista a Gian Luca Rossi, giornalista interista di Qui Studio a Voi Stadio, programma Tv di Telelombardia

La condanna nei confronti dei colpevoli in questa storia è indiscutibile, anche se ora pare che tutti patteggino. La cosa più imbarazzante però è che nessuno si fa autocoscienza e tutti pensano che i giudici ce l’abbiano con la loro squadra, senza considerare le reali responsabilità di ognuno. In questo caso sarebbe utile considerare la differenza tra un appassionato che segue la sua squadra con il cuore e quei personaggi beceri che guardano solo alla vittoria e a tutto il chiacchiericcio che ruota attorno al calcio. Come in tutte le cose ci sono vari livelli di coinvolgimento, più o meno acritico: prima di tutto se uno va su un’enciclopedia leggerà che il tifo è una malattia e uno che vive 24 ore al giorno per la squadra di calcio – e ce n’è di gente così – anteponendolo alla famiglia e al lavoro smette di essere un appassionato, ma è in una fase in cui ha sviluppato un attaccamento morboso. Pare che questa forma di legame sia diventato all’ordine del giorno, ma non è così che dovrebbe essere. Per esempio a Qui Studio a Voi Stadio ci schieriamo dichiaratamente da una parte o dall’altra, ma il nostro è uno show, in cui il giornalismo convive con l’ironia per quattro ore, ma poi, spente le telecamere, nessuno di noi si alza col desiderio di sgozzare l’avversario. Se si parla di Calciopoli e Calcioscommesse però, c’è da considerare che purtroppo al tifoso medio non interessa nulla della partita, la prima cosa che guarda è l’arbitro che ha dato il rigore, chi ha comprato chi, chi ha venduto quale match: si tratta di una passione vissuta dal divano, più che dagli spalti. Pare che ci si sia scordati che nello sport si vince, si perde, si pareggia, che c’è un’etica da rispettare e bisogna rendersi conto che se si vincono infinite serie di trofei, prima o poi arriva anche il momento degli altri, perché non si può vincere all’infinito. Spesso non si parla più di calcio come evento agonistico, ma del business che ci sta attorno. Secondo me in Italia purtroppo non c’è più una passione sana per il pallone, a partire dai protagonisti stessi, che sono caduti nella vicenda scommesse. Il nostro paese guardando all’estero potrebbe imparare molto, io poi avendo una passione soprattutto per i viaggi, ancora prima che per lo sport, ho girato il mondo e in America ho potuto apprezzare la gestione impeccabile delle attività sportive, regolate da norme chiarissime. Anche in Inghilterra il calcio è una cosa molto seria: le società gestiscono i loro stessi stadi e l’intera industria si sostiene da sé. Qui invece siamo ancora indietro, avremmo bisogno di un nuovo codice di giustizia sportiva, dato che quello compilato di recente è totalmente insufficiente, manca anche una nuova legge sugli stadi, morta in Parlamento da non so quanto tempo. Si parla tanto del nuovo stadio dell’Inter ma sono sicuro che fino al 2018, anno di scadenza del contratto con San Siro, di strutture nuove a Milano non ne vedremo neanche l’ombra. Il calcio italiano poi risente molto di quella che è la situazione politica e non a caso abbiamo ai vertici federali personaggi di nomina politica, come Abete e Petrucci, mentre all’estero ci sono dirigenti più tecnici e adatti ad occuparsi del problema, forse perché lì il pallone non è vissuto come una religione.

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