Inter Nos 2

Pubblicato su San Siro Calcio, domenica 8 novembre 2009 per Inter-Roma

VOGLIA DI FUGA – C’è Inter-Roma e l’augurio è che le scorie della fantastica notte di Kiev siano già state metabolizzate, ma già l’ultima giornata di campionato è stata una bella mazzata sulle aspirazioni dei rivali. Con la quinta vittoria consecutiva, quella di Livorno, bellissima proprio perché nemmeno cercata con insistenza, l’Inter ha ufficializzato la sua prima vera fuga in campionato con 7 punti di vantaggio sul tandem Juventus-Sampdoria. I numeri sono da record, tant’é che nessuno in Europa ha fatto meglio e credo neppure in Italia dopo sole 11 giornate. Tra i dati più positivi spiccano il miglior attacco del campionato con 28 gol realizzati da 11 calciatori diversi e una crescita di 4 punti in classifica rispetto ad un anno fa. Ovvio che sia prematuro qualsiasi calcolo sul discorso scudetto, ma la continuità che l’Inter sta dimostrando rispetto a tutte le altre rischia di spezzare gambe e morale a qualsiasi inseguitore. Pensate che 9 vittorie nelle prime 11 giornate con 28 reti segnate non si verificavano dalla stagione 1960-61, mentre nella stagione 1958-59 l’Inter di gol ne aveva fatti addirittura 30! Eppure in entrambi i casi i nerazzurri chiusero solo al terzo posto finale, segno che certi numeri, dopo nemmeno un terzo di campionato, non sono poi così indicativi. Certamente esiste l’anti-tarme, l’anti-calcare, l’anti-nebbia, ma non l’anti-Inter, almeno per ora!
SVOLTA IN EUROPA – A Kiev in tre minuti all’Inter è riuscito ciò che aveva vanamente tentato in 6 ore di partite in Europa: una vittoria in Champions, evento che, considerando anche l’edizione scorsa, mancava da più di un anno. A volte il calcio sa essere lo sport più bello del mondo. In un attimo la certezza diventa dubbio o viceversa, in un battito di ciglia la delusione si fa gioia o viceversa. Diversamente dalla vita, nel calcio esiste l’impossibile. E l’impossibile non era vincere a Kiev, ma farlo nei tempi e nei modi in cui è accaduto. In quella notte un secolo fa nasceva Angelo Moratti, il papà della grande Inter e del suo attuale presidente. Che ci sia stato qualcosa di metafisico? Tutto può essere, perché per dirla con Roy Batty, il replicante Blade Runner reso celebre da Rutger Hauer “ho visto cose che voi umani non potete immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannoiser e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia: è tempo di morire!”. Qui invece è tempo di tornare a vivere e a vincere, anche in Europa, perché sono un inguaribile ottimista e mi aspetto che questo successo vada oltre il risultato, che ha visto l’Inter cominciare la partita da ultima in classifica e chiuderla in vetta. E fa quasi ridere che adesso l’Inter sia l’unica tra le italiane ad essere prima da sola in un girone di Champions. Proprio, l’Inter, il brutto anatroccolo d’Europa. Misteri del calcio. Ho sempre pensato che i guai dell’Inter in Champions League avessero una spiegazione psicologica e ho sempre sostenuto che per esorcizzare i fantasmi servisse un risultato imprevisto e importante: e chissà che la scintilla nel gelo di Kiev non riaccenda un fuoco! Lo diranno le prossime partite. A PROPOSITO DI ZENGA – Walter Zenga l’ultima volta ha lasciato San Siro da allenatore del Palermo, con 5 gol sul groppone, malgrado la mezza rimonta, e un plebiscito di applausi. Oggi l’Inter è più che mai di Mourinho, che ha indicato come suo erede in panchina proprio il simbolo interista negli anni ’80 e ’90. Ma i nostalgici rischiano di rimanere delusi e spiego perché. Quando, nel febbraio ’95, Massimo Moratti acquistò l’Inter, la prima cosa che fece fu di liquidare tutti gli uomini del precedente Presidente Ernesto Pellegrini, tra cui Giampiero Marini, che nemmeno un anno prima aveva guidato l’Inter alla conquista della sua seconda Coppa Uefa e che in quel momento era tornato a dirigere il settore giovanile nerazzurro. E’ normale che quando una società, e non solo calcistica, cambia padrone, i protagonisti della gestione precedente debbano fare le valigie, indipendentemente dalla bontà del loro operato. Non è né giusto, né sbagliato, ma è così da sempre e nel calcio il discorso non ha riguardato solo l’Inter. Come Moratti, hanno fatto Silvio Berlusconi nel Milan e Umberto Agnelli nella Juventus, che congedò un’icona come Giampiero Boniperti. Così Moratti riportò subito in società Facchetti, Corso e Suarez, ovvero i suoi idoli da ragazzo, nonché protagonisti in campo dei successi dell’Inter di suo padre. E nella nuova Inter rientrò dalla porta principale anche Sandro Mazzola, che era stato direttore sportivo nell’Inter di Fraizzoli, ma poi fatto fuori da Pellegrini. Negli anni tante cose sono cambiate, tanti facce sono cambiate in società ma, fateci caso, nessun dirigente o calciatore dell’era Pellegrini ha mai avuto un ruolo di primo piano nell’Inter di Massimo Moratti. Via Beltrami e Marini in società, via Berti, Bergomi, Ferri e Zenga, protagonisti sul campo. Sembra fare eccezione Beppe Baresi al settore giovanile nerazzurro, ma non è così. Beppe appartiene storicamente all’Inter dello scudetto 1979-80, ma era ancora l’Inter di Fraizzoli.  Per questo Walter Zenga è molto difficile che sia il prossimo allenatore dell’Inter e non mi risulta che il rapporto con Moratti, al di là della cortesia, sia così stretto da poterlo ragionevolmente prevedere.  Eppure Walter Zenga sogna spesso ad occhi aperti di allenare l’Inter. Dopo qualche timido contatto, ci aveva anche sperato per un brevissimo periodo durante gli ultimi mesi di gestione di Roberto Mancini, un paio di anni fa. Walter ero andato a trovarlo a Bucarest nel settembre 2002, quando con il vice Dan Petrescu, aveva appena cominciato ad allenare il National. Eravamo agli albori di una serie di una esperienze all’estero da allenatore italiano errante. Stati Uniti, Serbia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Romania: Zenga ha allenato ovunque, riempiendo un bagaglio di esperienze che pochi tecnici possono vantare, sognando prima o poi un ritorno in patria per essere finalmente profeta. Ci è riuscito solo l’anno scorso con il Catania e oggi è al Palermo. Sta cominciando a risalire l’Italia dalla Sicilia, come Garibaldi, ma il suo capolinea è l’Inter, la squadra a cui ha dedicato la sua vita sportiva. Difficile ci arrivi. Per l’Uomo ragno si può pure pensare che sia tutto possibile, ma stavolta non dipende da lui.

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