top of page

The Brutalist

Immagine del redattore: Gianluca RossiGianluca Rossi


di Brady Corbet

 

Lazlo Toth sopravvive al campo di sterminio di Buchenwald e fugge, via nave, in America. Si trasferisce in Pennsylvania a Doylestown dove vivono il cugino Attila e sua moglie Audrey. I due hanno un negozio di mobili e Lazlo per un po' lavora per loro come architetto. È proprio grazie a Attila che Lazlo conosce Harrison Van Buren, ricco magnate che diventa suo mecenate e gli commissiona un grande lavoro, una fondazione che porti il nome della defunta madre. Ascesa e caduta di un ebreo ungherese tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni 60 nel nuovo film di Brady Corbet, un passato da attore (Mysterious Skin, Funny Games, Forza Maggiore e altri) ora regista di questa monumentale e imponente pellicola. Perché proprio di pellicola si tratta: il film è girato in 35mm formato VistaVision (un insolito 16:9) che non veniva usato dai tempi di “I due volti della vendetta” (di e con Marlon Brando, 1961). Corbet appartiene infatti a quella piccola schiera di registi che girano tecnicamente utilizzando il tipo di materiale in uso nel periodo storico narrato nel film. Inoltre il formato è perfetto per un film sull’architettura perché permette di inquadrare un edificio molto alto senza ricorrere al grandangolo. Il regista ha impiegato 6 anni per trovare i finanziamenti per la propria opera, tanto da presentarlo da indipendente. Nessuna major evidentemente era disposta a produrre un film così pesantemente critico verso la società americana di quell'epoca, che profittava dell'operato degli immigrati sfruttando i loro talenti (in questo caso l'architettura) senza mai integrarli nella società e violentando l’arte con il potere del denaro. In questo senso il personaggio di Van Buren (uno strepitoso Guy Pearce) è terribile e anche gentile nei suoi modi, una gentilezza poco chiara, che nasconde qualcosa. Il film è diviso in 2 parti più un prologo e un epilogo, tanto da diventare un affresco imponente, non solo nella durata (3 ore e 20 più un intervallo, necessario, di 15 minuti) ma nella messa in scena, più che giusta e calibrata, con qualche ricerca formale interessante, qualche compiacimento e una caduta “turistica” un poco incomprensibile. Buon ritmo, dialoghi convincenti (scrivono lo stesso Corbet con la moglie Mona Fastvold) e il tentativo, più che riuscito, da parte delle scenografe (Judy Becker e Patricia Cuccia, entrambe nominate agli Oscar 2025) di delineare i personaggi attraverso la descrizione degli ambienti in cui vivono. Un'opera bellissima e forte dai tratti di toccante (dis)umanità. Adrien Brody pluripremiato (Golden Globe, BAFTA, Critics Choice Awards nel 2025 e Chicago e New York Critcs Awards nel 2024), così come Brady Corbet (Golden Globe migliore regia e miglior film drammatico, BAFTA miglior regia, Leone d’argento per la miglior regia a Venezia 2024). Nel cast anche Felicity Jones e Alessandro Nivola. Girato interamente in Ungheria è assolutamente imperdibile. Al cinema.


Recensione del Conte Adriano Cavicchia Scalamonti, 23.2.2025





Post recenti

Mostra tutti

A real pain

di Jesse Eisenberg   David (Eisenberg) e Benji (Culkin) sono due cugini molto diversi tra loro che non si vedono da un po’: uno è sposato...

Itaca - Il ritorno

di Uberto Pasolini   Odisseo (il bravissimo Ralph Fiennes), partito da Itaca per la guerra di Troia, fa ritorno, vent’anni dopo la fine...

Io sono ancora qui

di Walter Salles   Rio de Janeiro, 1970: Eunice e Rubens Paiva sono una coppia sulla quarantina, hanno 5 figli di varie età, conducono...

bottom of page