Quelle sconfitte che non finiscono mai
Quello che fatico ad accettare di casa Inter, una volta subita una sconfitta inattesa, è perché tale sconfitta, il derby in questo caso, debba proseguire ad oltranza. L’Inter ha perso il derby, d’accordo, punto e a capo. Invece no, paradossalmente il peggio è sempre nelle giornate seguenti, quando il cosiddetto effetto ‘a caldo’ dovrebbe rapidamente esaurirsi. All’Inter invece una sconfitta può anche durare un’intera settimana, funestata da voci, retroscena, smentite e veleni. Così Adriano, immusonito a lungo in panchina, per poco non viene alle mani con il solito tifoso perditempo che all’uscita dallo stadio lo invita ad andare al Real, mentre Recoba non accetta la panchina al posto di Emre se Veron avesse dato forfait pochi minuti prima della gara. Il Chino il derby lo ha visto a casa, ha spiegato, solo per stare vicino al figlio Jeremia, influenzato. E poi c’è il malcontento di Davids che, malgrado non poche esclusioni, finora si è dimostrato un buon professionista evitando esternazioni pericolose. Resta assurdo però che ogni sconfitta di un certo peso debba provocare sconquassi per tutta la settimana successiva: dare la colpa alla stampa può essere un’idea, ma i giocatori dovrebbero pensare che una panchina o una mancata convocazione non sono poi la fine del mondo. L’amico Rob, nella sua vignetta odierna ci scherza, ma non è la prima volta che la panchina dell’Inter diventa così indigesta. C’è anche chi sostiene che il Mancio abbia la sensibilità di un elefante nel comunicare le sue scelte ai pezzi da 90: eppure tutti si diceva l’Inter avesse bisogno di un ‘duro’ in panchina, uno che non guardasse in faccia a nessuno. E l’idea che Mancini abbia un atteggiamento più morbido con i suoi ‘luogotenenti’ Mihajlovic, Veron, Stankovic, Favalli e Vieri, rispetto agli altri, ci accompagnerà a lungo. Io trovo sacrosanto che un tecnico alla guida di una nuova squadra possa volere con sé gente di assoluta fiducia, questo accade in ogni ambiente di lavoro, non solo nel calcio, ma non siamo tutti uguali, non sono tutti uguali: Adriano non è Karagounis, come Materazzi non è Gamarra. Le gerarchie sono sempre esistite e sempre esisteranno: si possono aggirare ma non ignorare. Ed è strano dover pensar questo proprio di Mancini, la cui carriera di calciatore è la dimostrazione che i campioni non sono come gli altri: lui per Boskov non era uguale a Fausto Pari o per Eriksson non era uguale a Dario Marcolin. A porre fine ad una settimana molto difficile, ecco Sinisa Mihajlovic, che ha rigettato con sdegno il ruolo di raccomandato: “Io devo lavorare il doppio” – da detto Sinisa – “rispetto agli altri proprio per fugare questi sospetti assurdi”. Mihajlovic, che non è mai banale, per la verità è andato molto più in là; ha ammonito Adriano a svegliarsi perché una panchina non ha mai ucciso nessuno e, soprattutto, ha dichiarato che non tutto l’ambiente ha creduto nel progetto Mancini. A voler essere cattivi si potrebbe pensare che dell’ambiente, oltre a qualche compagno, faccia parte pure qualche dirigente, ma è un film già visto: se nell’Inter, per l’ennesima volta, non tutti remano nella direzione del patron e delle sue scelte è normale che le sconfitte, ogni volta, siano più lunghe da digerire.
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