Argentina: l’addio di Veron

di Andrea Ciprandi da http://andreaciprandi.wordpress.com/

Giugno 2012 verrà ricordato da molti soprattutto come il mese del ritiro di un personaggio centrale come pochi altri nella moderna storia calcistica argentina: Juan Sebastian Veron.
Sabato scorso, in casa contro l’Olimpo, la Brujita ha salutato il proprio pubblico. All’Estadio Unico di La Plata, con la ciliegina sulla torta della vittoria per 1-0, uno dei più grandi capitani di sempre del Pincha si è congedato dopo quasi vent’anni dall’esordio con la maglia biancorossa e 3 trofei maggiori conquistati col e per il club del suo cuore a dispetto di una carriera spesa per lo più in Europa. Fra i tanti testimoni del suo addio anche l’attuale c.t. dell’Argentina, Alejandro Sabella, che ai tempi in cui sedeva sulla panchina dell’Estudiantes proprio con lui aveva conquistato Copa Libertadores e campionato sfiorando anche il Mondiale per club contro il Barcellona.

Per capire Veron e rendersi conto di quel che lui rappresenta per il club e ciò che il club significa per lui, in un indissolubile intreccio sentimentale e sportivo, si può prendere in considerazione la lettera aperta che ha scritto ai tifosi. Figlio d’arte, è un personaggio complesso che fra chi non è dell’Estudiantes ha raccolto tanti favori quanta antipatia. Oltre all’indiscutibile tecnica e alla sua tenacia, non può però che colpire favorevolmente l’aspetto umano a lui tanto caro e che fa da filo conduttore nel suo messaggio di commiato. E’ un aspetto che diviene imprescindibile quando si parla di una società che del legame con la comunità ha sempre fatto un segno di distinzione e che Veron, da buon discepolo, ha fatto suo e ora cerca di trasmettere alle nuove generazioni Pincha. Proprio in base a ciò il ricordo dei suoi primi anni, quando era solo un bambino e in società trascorreva intere giornate e poi quando da ragazzino aveva iniziato a giocare ma a mala pena fornivano a lui e ai suoi compagni gli strumenti necessari, si mescola alla considerazione della poca attenzione che recentemente tanti giovani calciatori prestano alla fortuna di avere invece equipaggiamento di prima qualità e strutture all’avanguardia in cui formarsi. E non si sbaglia affermando che questo riferimento non è un puro accorgimento strappalacrime.

Venendo più specificamente alla sua carriera, molto deve a chi lo notò e credette in lui fin da subito: il cosiddetto Semilla Badoyan menzionato sempre nella lettera. Ma determinante al di là dell’aspetto puramente tecnico fu di certo l’influenza di suo padre, idolo Pincha quarant’anni prima di lui. Pur avendo vinto 3 Coppe Libertadores e un’Intercontinentale, questi però non ha oscurato l’astro nascente del figlio. Dopo i primi passi chiaramente nell’Estudiantes e un breve passaggio al Boca dell’ultimo Maradona, la Brujita trovò la propria consacrazione in Europa e in particolare in Italia. Qui non vinse solo con la Sampdoria, ai tempi affidata all’argentino Luis Cesar Menotti ai cui ordini si era messa immediatamente dopo aver giocato sotto Carlos Bilardo che di Menotti è l’antitesi tecnica e umana – entrambi oltretutto, va ricordato, campioni del mondo. Con Parma, Lazio e Inter invece ha collezionato svariati successi tra cui spiccano due campionati e una Coppa UEFA. Tra la prima e l’ultima esperienza italiana ce ne fu una meno fortunata in Inghilterra dove innanzitutto questioni tattiche limitarono le sue potenzialità prima al Manchester United e poi al Chelsea benché una Premier League sia riuscito ugualmente a vincerla, ma ci fu anche la fallimentare campagna con l’Argentina ai Mondiali di Giappone e Corea – qualcosa de cui in molti faticarono a risollevarsi, si pensi al Loco Bielsa, ma Veron invece no. Poi, la decisione considerata choc dai più, ma non certo da coloro che lo conoscono bene: il ritorno all’amato Estudiantes.

Abbandonati per sempre l’agio e gli ingaggi europei appena dopo i trent’anni e resistendo successivamente alle sirene della Major League americana, Veron è tornato a casa in tutti sensi per rimanerci. Una radicale scelta di vita, la sua. E questa risoluzione non avrebbe potuto essere meglio ripagata dato che, nei successivi sei anni, oltre a due campionati vinti e al trionfo sfiorato in Copa Sudamericana ha riportato a La Plata sponda Pincha la Libertadores che per l’ultima volta era stata alzata proprio da suo padre nel lontanissimo 1970 (quando lui doveva ancora nascere). Una favola in tutto e per tutto, insomma. L’elezione a miglior argentino e addirittura sudamericano in ben due occasioni, poi, sottolineano la sua qualità assoluta in una fase della carriera che in molti erano pronti a giudicare calante. Anche se, lo si è capito, parlare di Veron limitandosi alle sue gesta sul campo non ha davvero senso.

 

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