Toldo, portiere per colpa della neve

Pubblicato su Calcio2000 n.91 luglio 2005

Da qualche tempo Francesco Toldo non è un portiere come gli altri, limitandoci a quelli che vanno in campo, visto che quelli d’albergo costituiscono una categoria a parte. A Toldo, ultimamente tocca non solo di parar palloni ma pure critiche a pioggia. Alcune giuste, altre un po’ impietose, comunque tutte battenti. Sarà che come capro espiatorio Toldo, grande e grosso, con quelle manone enormi e il 47½ di piede, funziona bene, sarà anche che gioca nell’Inter, ovvero nella squadra con la difesa più allegra del campionato italiano, anche se quelli davvero allegri sono spesso gli attaccanti avversari. Ma cosa è successo a Toldo? Perché tante critiche? «A Toldo non è successo niente di particolare» – attacca – «e c’è chi è prevenuto nei miei confronti. Ormai è tutto eccessivo: gli elogi quando le cose vanno bene, le critiche quando girano male. L’anno scorso c’è stato chi ha subito più gol di me, ma nel suo caso la colpa era dei compagni di reparto. Mi riferisco a Gigi Buffon, un amico che peraltro a volte è addirittura spietato nell’autocritica. Da qualche tempo per me è dura, nel senso che al primo errore mi trovo in croce. Ormai ci ho fatto il callo. In questo Firenze è stata importantissima. Firenze come Milano nerazzurra sono due piazze diverse, ma hanno in comune il fatto che non si vince da molto tempo e quindi c’è molta pressione. Il bello dello sport è che ti dà sempre la possibilità di dimostrare quello che realmente vali. Prendersela sempre con il portiere è la cosa più facile, perché ci si ricorda molto di più un suo errore rispetto a quando sbaglia un altro. Mi dicono che anche Zenga e Pagliuca, due portieri che hanno fatto la storia dell’Inter, qui sono stati criticati. So da solo quando sbaglio, come so che devo migliorare nelle uscite. Io credo che debbano giudicarci solo gli ex portieri, perché il nostro è un ruolo atipico. Infatti tra noi portieri di tutte le squadre c’è sempre stata una complicità e comprensione reciproca. Ognuno di noi ha provato prima o poi un momento di difficoltà e sa che si sta da cani, perché poi sei solo, ma solo davvero. Quest’anno mi è successo di finire in panchina all’Inter. E’ stato un brutto momento, e per superarlo ho dovuto essere molto forte dentro. Oggi per noi portieri è diventato tutto più difficile perché si gioca a una velocità incredibile e i nuovi palloni sono più leggeri, fatti apposta per metterci in difficoltà. Ma da me tutti si aspettano sempre miracoli. So quando sono sotto il fuoco della critica e come schivare le pallottole avvelenate: con la serenità, in campo e fuori, soprattutto in famiglia». Già la famiglia. Toldo, nato a Padova il 2 dicembre del 1971, nei momenti duri ha sempre saputo dove rifugiarsi. Ieri con papà Lorenzo, mamma Antonia, sua sorella Giuliana, ex giocatrice di pallavolo, e nonna Norma, ora ottantottenne, che fino a qualche anno fa lo seguiva pure in giro per gli stadi d’Italia. Oggi con Manuela, sua moglie, conosciuta in un negozio a Padova, ed il piccolo Alessandro, che a breve avrà un fratellino. «In famiglia sto bene. A casa so come ricaricarmi. Non vivo di solo calcio. Mi appassiona Internet e quello che si può fare navigando in rete. Scelgo di solito siti di notizie sportive, informazione in generale e siti geografici, perché mi è sempre piaciuta la geografia, anche se l’ultima passione è quella di filmare e poi montare i video di mio figlio Alessandro, mettendoci titoli, effetti, dissolvenze. Ascolto musica, meglio se italiana e conosco bene Piero Pelù e Ligabue. Quanto al cinema, a Firenze, ho conosciuto Roberto Benigni e lo considero un genio: ‘La vita è bella’ resta un capolavoro. Leggo la rivista Focus e qualche libro: l’ultimo è stato ‘Memoria e Identità’ di Giovanni Paolo II. L’ho incontrato un paio di volte e ho giocato davanti a lui al Giubileo degli sportivi nel 2000. Un uomo straordinario. Anche lui ha giocato un po’ da portiere. Io lo dico sempre che il portiere è un ruolo di prima linea, anche se sta più indietro di tutti». Eppure Francesco mica voleva fare il portiere: da bambino guardava il cielo e sognava di fare il pilota. Poi ha finito per volare anziché tra i cieli da un palo all’altro. Ma non subito. I primi calci li ha tirati infatti fuori dai pali con la squadra della parrocchia di Caselle di Selvazzano, in provincia di Padova, l’U.S.M.A., letteralmente Unione Sportiva Maria Ausiliatrice, passando dai pulcini agli allievi. Prima terzino destro, poi mediano e perfino centravanti, fino a 15 anni. «Ma non avevo una gran voglia di correre. D’inverno dalle mie parti c’è spesso la nebbia e io ne approfittavo per nascondermi tra un giro di campo e l’altro. Poi, un giorno che nevicava, sono andato in porta con la scusa di tuffarmi nella neve. Mi sono divertito a tal punto che non sono più uscito». Pian piano ma rapidamente, Francesco si appassiona al ruolo di portiere, cresce e migliora la presa giorno dopo giorno. Sfrutta per questo anche una sua passione: la pesca sportiva, trote soprattutto. Nei torrenti in Val d’Astico, nel vicentino, si diverte pure a scovarle nelle tane e a prenderle con le mani. Poco tempo dopo Francesco viene convocato insieme a tutti i portieri della zona per un provino organizzato dall’osservatore del Montebelluna Giancarlo Caporello. Fa il pendolare tra Abano Terme, dove frequenta la mattina l’istituto professionale alberghiero, Montebelluna, dove si allena nel pomeriggio, e Caselle la sera, in famiglia. Dopo due anni tra i giovani del Montebelluna, Toldo si ritrova nel settore giovanile del Milan alla fine degli anni ’80. Conclude gli studi, frequentando gli ultimi due anni a Varese all’istituto professionale per il commercio Cavour, ma pensa soprattutto al calcio, anche se, qualche anno più tardi, a Firenze si iscriverà all’Isef. In due anni, nelle giovanili del Milan, conquista lo scudetto Berretti e poi comincia a girare l’Italia: una stagione alla Primavera del Verona, una al Trento in C2 e un’altra al Ravenna in C1, con promozione in serie B. Toldo crede di poter tornare in fretta al Milan, ma si sbaglia di grosso ed è la prima grande delusione: «A Milanello non hanno mai creduto veramente in me. Mi hanno spedito in giro per l’Italia senza darmi una sola chance di provare quanto valevo». Ma il grande calcio lo aspetta e, finalmente, nel 1993, ecco una squadra vera: la Fiorentina. Una buona stagione con i viola nella serie cadetta e poi la serie A. A quel punto si risveglia il Milan, che prova a riportarlo indietro, ma ormai è tardi. A mettersi di traverso è il presidente viola Vittorio Cecchi Gori, con una frase che non lascia scampo: «Se mi togliessero Toldo sarebbe come se mi levassero un figlio». Così Toldo rimane a Firenze, dove fin dall’esordio in serie A, il 12 Settembre 1994 in Fiorentina- Cagliari 2-1, ha trovato subito il feeling con un pubblico difficile: «A Firenze sono rimasto sei anni e credo di aver lasciato qualcosa, visto che sono stato accolto sempre bene, anche da avversario. Da Firenze ho preso anche qualcosa però: i primi successi sono arrivati nel ’96 con Ranieri, una Coppa Italia, che è stato il primo trofeo vinto dalla Fiorentina dopo vent’anni, e una Supercoppa di Lega, conquistata proprio contro il Milan. Mi sono divertito anche dopo, prima con Malesani e poi con Trapattoni. Con il Trap nel ’98 siamo stati a lungo in testa al campionato, ma poi sì è infortunato Batistuta e abbiamo chiuso al terzo posto. L’anno dopo però siamo arrivati fino ai quarti di Champions League. Era la Fiorentina di Batistuta, Rui Costa ed Edmundo, una gran bella squadra. Nel girone eliminatorio, con Barcellona e Arsenal, ci siamo qualificati alla grande, andando a vincere con una rete di Batistuta a Wembley, dove ho giocato una delle più belle partite della mia vita, poi nel secondo turno abbiamo battuto al Franchi il Manchester United per 2-0, prima di venire eliminati dal Valencia. Poi a Firenze sono arrivati i guai, con le difficoltà finanziarie del gruppo Cecchi Gori anche se, prima di andarmene, ho fatto in tempo a vincere un’altra Coppa Italia, con Fatih Terim in panchina, sostituito poi da Roberto Mancini, che ho ritrovato all’Inter». Già l’Inter: un passaggio, avvenuto nell’estate 2001, molto più complicato di quanto si possa pensare. «La Fiorentina mi aveva già ceduto al Barcellona» – ricorda Toldo – «e a me stava pure bene, ma all’improvviso è saltato tutto. Cecchi Gori chiedeva tutti i soldi in contanti e non certo in quattro rate, come volevano gli spagnoli. Un giorno d’estate, in vacanza con mia moglie, accendo la Tv e sento al TG 5 che io e Rui Costa stiamo per passare al Parma per la cifra record di 140 miliardi. Allora ho preso il telefono e ho detto che al Parma non ci sarei andato: cercavo una grande, meglio se italiana. Così è arrivata l’Inter, e il primo anno con Cuper, un vero signore, stavamo anche per vincere lo scudetto. Poi quel maledetto 5 maggio a Roma, ma ho deciso di non parlarne mai più. Preferisco ricordare le cose belle come le due partite di Coppa con il Valencia, in cui ho avuto una serata più bella dell’altra. L’immagine che non dimenticherò mai è quella di Farinos che va in porta dopo la mia espulsione. Francisco con la maglia fino alle ginocchia e i miei guantoni sproporzionati. Troppo divertente». Della Nazionale, con la quale ha chiuso con l’avvento di Lippi, Toldo parla invece volentieri: «Con la maglia azzurra ho avuto un buon rapporto fin dall’under 21 di Cesare Maldini, vincendo l’Europeo del ’94. Una soddisfazione incredibile, perché mi ha fatto capire che potevo raggiungere grandi traguardi. E anche della Nazionale maggiore ho buoni ricordi. Ho cominciato con Sacchi nel ’95. A ottobre si era infortunato Peruzzi e Sacchi mi ha subito convocato per la partita valida per le qualificazioni all’Europeo Croazia-Italia che si giocava a Spalato il 10 ottobre. Il bello è che ho debuttato proprio alla prima convocazione! Non me l’aspettavo: Bucci è stato espulso dopo nemmeno dieci minuti ed è toccato a me. E’ finita 1-1, ma ho fatto una buona figura e sono entrato nel giro. Sono stato nella rosa dei convocati sia per gli Europei d’Inghilterra nel ‘96, sia per i Mondiali di Francia del ‘98. Il momento magico però è stato agli Europei 2000. Anche lì, del tutto inaspettato, con Buffon che si è fratturato una mano alla vigilia e Zoff, il mio idolo da bambino,che mi promuove titolare. La semifinale con l’Olanda ad Amsterdam è stata la partita della vita, perché partivamo quasi battuti, ma siamo arrivati ai rigori e ne ho parati tre, davanti al pubblico di casa che piangeva. Peccato per la finale con la Francia, dove ci ha condannato il golden-gol di Trezeguet. Ma adesso c’è solo l’Inter». Toldo ha un altro anno di contratto, ma l’Inter se non vince lo scudetto diventa una polveriera. Si sono fatte più rivoluzioni all’Inter che in alcuni Stati del Centro America: «E’ un argomento che non posso affrontare perché non so davvero nulla, e non mi va di parlare a vanvera. L’anno scorso avevo detto che una grande società ha bisogno di una grande organizzazione, come insegnano Milan e Juventus, ma hanno capito che volessi criticare i miei dirigenti. A proposito si è sempre detto e scritto che sono stato multato per aver parlato a cuore aperto, ma non è vero. Non sono mai stato multato dall’Inter. Le uniche multe che ho preso sono quelle per i divieti di sosta». Eppure l’Inter, pensando al futuro, ha già preso due giovani portieri, Fabian Carini e Julio Cesar, al momento parcheggiato al Chievo. Carini un po’ si conosce ma Julio Cesar è ancora un oggetto misterioso per il nostro campionato. E’ il vice di Dida in nazionale ma lo stesso Dida, in una recente intervista, ha dichiarato che l’Inter ha in Toldo un portiere fortissimo: «Dida sta facendo una stagione impeccabile e la sua stima mi fa piacere. Lui, Buffon e Cech, il portiere del Chelsea, sono i migliori in un ruolo dove ci sono tanti giovani bravi, anche se poi bisogna vederli in una grande squadra, con la pressione che si decuplica. Credo che la società faccia bene a programmare il futuro e la concorrenza non mi ha mai disturbato. Però Carini è bravo davvero e farà grandi cose. Lo dico perché lo vedo lavorare e migliorare tutti i giorni». Però un portiere va giudicato anche dalla difesa che ha davanti e su quella dell’Inter se ne sono dette e scritte di tutti i colori, perché Mancini ha creato una squadra più portata a vincere 3-2 che 1-0, cosa che per chi sta tra i pali non è proprio il massimo: «Più che di difesa però, parlerei di fase difensiva che riguarda tutti, il portiere, i difensori, il centrocampo e gli attaccanti che, in caso di possesso palla dell’avversario, devono essere i primi a difendere. Io credo nel progetto Mancini perché l’Inter ha bisogno di una guida sicura nel tempo. Lo conosco dai tempi di Firenze e l’ho ritrovato determinato a risollevare un ambiente che non vince da troppo tempo. E’ giovane e non ha paura di rischiare. Sta provando a mettere insieme vittorie e bel gioco e se ci riusciamo è il massimo, anche perché se giochi male può arrivare qualche vittoria, ma scudetto o Champions non le vinci mai. Certo bisogna lavorare molto e credo che, per chi di noi resterà, l’anno prossimo sia quello in cui raccoglieremo, ora che ognuno sa perfettamente quel che deve fare in campo. In allenamento i movimenti vanno ripetuti fino alla noia, poi al resto penseranno i tanti campioni che abbiamo. Quanto a me non so se ci sarò e nemmeno se giocherò ancora a lungo, come Pagliuca che, a Bologna, a quasi 40 anni, sta disputando una delle sue migliori stagioni. Mal che vada, andrò più spesso a pesca nei torrenti: qualche trota con le mani riesco ancora a prenderla!».

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